Archivio della gestione 2021—2023
Annunciamo con profonda tristezza la fine inattesa del nostro progetto a causa di un raggiro da parte dell’ormai ex–collega e malgrado l’arco contrattuale di 5 anni.

Sin dall’inizio abbiamo riscontrato numerose scorrettezze da parte sua, fino all’entrata tacita nella Fondazione proprietaria del mulino (con il beneplacito del fratello nonché Presidente) che ci ha allontanati unilateralmente. Ci dispiace molto rilevare come nonostante i nostri appassionati sacrifici quali innumerevoli giorni e notti di lavoro volontario, la nuova conduzione del mulino sarà frutto di un inghippo e non di competenze realmente dimostrate.

Con il Maglio, abbiamo un legame affettivo sin da quando eravamo bambini. Crescendo, è emerso il desiderio di elevare questo affetto in un progetto volto a riconcepirlo con lo scopo di valorizzare la regione Malcantone.
Persino risistemandolo, dando spazio a prodotti locali, proponendo eventi culturali e stimolando l’aggregazione, la Fondazione ha deciso di liberarsi di noi e ci dispiace molto non potere proseguire con quanto fatto finora.

Nonostante ciò, siamo grati per tutto quanto ci ha insegnato questa esperienza che ci ha permesso di incontrare molte persone ammirevoli.

Ringraziamo di cuore tutte e tutti coloro che ci hanno sostenuto.

Terremo i canali social e questo sito come traccia di quanto proposto.

A presto,
Roy e Niki
Eventi
Museo
Immagini © Roy Clavadetscher
Storia
Nascita e attività

In una piccola conca ai bordi della Magliasina, sulla sponda destra del fiume dunque ancora in territorio di Miglieglia, sorge la costruzione che storicamente porta il nome del Maglio di Aranno. Questo mulino venne costruito nella prima metà dell’Ottocento ad opera della famiglia Righetti che lo presidiò, come lascia presumere l’incisione su un granito all’interno, a partire dal 1860.
La data incisa vicino alle iniziali di «Righetti Giuseppe»

L’attività del Maglio, che durò circa un secolo, era quella di forgiare degli oggetti in ferro quali falci, roncole, zappe, scuri, picozze, martelli, cunei… attrezzi che servivano all’operaiato di allora e di oggi. La forza dell’acqua veniva sfruttata per muovere un gigante martello, detto appunto «maglio», che attraverso un meccanismo di leva veniva alzato e lasciato cadere su un’incudine, liberando il fabbro dal duro lavoro che fino ad all’ora si svolse manualmente. «Il muschio sotto l’incudine, il pezzo di robinia, duro come sasso, applicato dove l’albero viene aggredito dalle linguette in ferro per alzare il martello» da Miglieglia: un tuffo nel passato, Stefano Gasperi, Gisella Joos, Luigi Bianchi, 2005, così Fedele Agostoni (ultimo magliaio) descrisse il congegno in un’intervista di Giovanni Bianconi.
immagini da Costruzioni contadine ticinesi, Giovanni Bianconi, © 1982 Armando Dadò editore

«In un angolo dell’officina c’era la forgia, dove si riscaldava il metallo fino all’incandescenza, alimentata a carbone e attizzata da un «soffiante» che suppliva il mantice di una volta. Un getto d’acqua cadendo in una tinozza posta dietro le ruote motrici provvedeva al tiraggio necessario a mantenere vivo il fuoco della forgia. Il materiale grezzo da lavorare, anticamente proveniva da un minerale ferroso estratto da alcuni giacimenti sopra Fescoggia. Ancora oggi si possono vederne le gallerie. Il materiale veniva fuso e lavorato in modo da ottenere lingotti o «masselli» di ferro. Nel Malcantone erano gli anni della corsa all’oro. A Costa e Novaggio si estraeva argento, piombo e oro in piccole quantità e a Fescoggia, appunto, materiale ferroso. (…) Ben presto si dovette constatare la scarsità di ferro e di oro nel materiale estratto e le gallerie e le miniere furono abbandonate. Allora i maiée (i “magliai”) si procuravano il ferro altrove. Ad Aranno arrivavano fino al ponte di Vello carri carichi di pesantissimi ferri vecchi che venivano poi trasportati a spalla fino al Maglio. (…) I pezzi finiti si trasportavano col gerlo o a spalla fino in paese. C’è chi ricorda la moglie dell’ultimo maiée che saliva col gerlo carico di ferri il ripido sentiero che portava ad Aranno, un sentiero che, d’inverno, con neve e ghiaccio diventava pericoloso. Poi si avviava, due volte alla settimana, fino al mercato di Piazza Castello a Lugano.»
da Ticino sconosciuto, Ely Riva, © 1981 Edizioni Fontana Print Pregassona


Conduzione

Il primo magliaio fu Giuseppe Righetti di Aranno. Il figlio Santiago non fu risparmiato dal grande esodo verso l’America poiché dopo aver appreso il mestiere al Maglio, salpò per l’Argentina nel 1869 (all’età di 22 anni) e ci arrivò dopo tre mesi con una barca carica di bestie per nutrirsi. Stabilì a Rosario de Santa Fe un’industria metalmeccanica con cui farà fortuna, fabbricando per il governo ponti di ferro e turbine, e per il mercato motori, caldaie, grandi ruote per pulegge, colonne in ferro per l’edilizia e pali per l’illuminazione delle città.

Verso la fine dell’Ottocento, il Maglio fu affittato e fatto fruttare da un paio di generazioni di abili artigiani: prima dalla famiglia Materossi di Dumenza ed in seguito da Alfredo Astrelli di Aranno. All’inizio del ‘900 gli succedeva Ambrogio Agostoni sempre di Aranno, il cui figlio Fedele fu l’ultimo che vi lavorò fino al fatale 10 agosto 1951. «Fedele, un ometto piccolo e magro, a vederlo nessuno direbbe che fu un fabbro. Nei suoi occhi vispi e lucenti si legge però ancora la vitalità e la forza di un tempo, quando le sue braccia erano capaci di alzare pesantissimi pezzi di ferro. Egli ricorda di aver cominciato come apprendista sedicenne sotto il fabbro Andina di Curio. A quel tempo guadagnava un franco e mezzo al giorno. Poi, quasi subito, giù al maglio col padre. La casa era a due piani: a pian terreno c’era l’officina, al primo piano l’abitazione per la famiglia Agostoni. Vi fu un momento in cui vi vivevano una dozzina di persone. (…) C’era anche la stalla con mucche, conigli, galline, l’orto e un bacino per le trote, scavato nella roccia dall’acqua.»
da Ticino sconosciuto, Ely Riva, © 1981 Edizioni Fontana Print Pregassona

L'alluvione del ’51

«Il 1951 fu un anno di sventure per il Ticino, valanghe col loro tragico bilancio di morti l’inverno, violenti nubifragi d’estate, seguiti da alluvioni dissastrose. All’inizio del mese di agosto di quell’anno sembrava che la furia degli elementi si fosse scatenata sul Luganese. Finché il 9 agosto il sole tornò a brillare, la notte tersa e limpidissima si riempì di stelle e si poterono vedere anche le stelle cadenti, tradizionali per quei giorni. Ma nella notte di San Lorenzo il tempo si guastò di nuovo e dal cielo piovve acqua ed acqua a non finire. Nell’alta valle della Magliasina il ponte di Vello fu divelto dal fiume in piena ed un giovane che stava pescando vi perdette la vita tra i gorghi della corrente. (…) Anch’esso (il Maglio), in seguito a quell’alluvione del ’51 riportò danni irreparabili, quando il torrente straripato ne allagò il macchinario, tanto da renderlo inservibile. La famiglia del «maiée» Fedele Agostoni, ultimo fabbro, rischiò d’essere travolta dal fiume ingrossato dal diluvio.» da Ticino sconosciuto, Ely Riva, © 1981 Edizioni Fontana Print Pregassona Giovanni Bianconi, in un’intervista del 1969, apparsa su Il nostro paese (n. 74/75) complementa la tragedia meteorologica con un’ulteriore lettura: «(…) In realtà, oltre alla ragione immediata del nubifragio, il Maglio cessò di battere oltre che per l’età del padrone e l’aumento del canone di locazione, per la spietata concorrenza di mezzi di produzione più moderni, con prodotti equivalenti e a miglior mercato.» da Miglieglia: un tuffo nel passato, Stefano Gasperi, Gisella Joos, Luigi Bianchi, 2005 Dal 1951 il Maglio rimane abbandonato e diviene addirittura saccheggiato da parte di un vicinato che si accaparra privatamente molti cimeli quali attrezzi finiti, trapani a colonna, altri strumenti di lavoro, piode, coppi, ecc. Il tetto è cadente e il primo piano è pericolante. Il martello, secondo alcune testimonianze di Aranno, viene grossolanamente messo in sesto e utilizzato da un contadino dei paraggi per raddrizzare alcuni strumenti di lavoro.
immagini dall’Archivio della Fondazione Maglio del Malcantone

Nuova vita

Tuttavia, dopo anni di inattività, nel 1979 l’ingegnere Gian Giacomo Righetti di Aranno – nipote di Santiago ed ultimo proprietario – costituisce la Fondazione Maglio del Malcantone «a ricordo di un artigianato scomparso, come modello informativo e istruttivo per le prossime generazioni». La Fondazione promuove e porta a termine il progetto di ristrutturazione. Nel 1992 l’opificio prende nuova vita in qualità di museo.

Dal 2022, a seguito di diverse altre conduzioni, il mulino viene gestito da Roy Clavadetscher e Niki Paltenghi. Questa gestione si ritrova sugli effetti di una globalizzazione che non ha risparmiato la regione prealpina e i suoi equilibri economici, sociali e culturali.
Il gruppo rimane profondamente riconoscente verso il passato del mulino ma non ne è nostalgico dunque, basandosi su valori come la comprensione del territorio e le sue risorse, formula il proprio obiettivo di gestione in chiave contemporanea.
Il gruppo lavora per un Maglio come luogo di valore aggiunto per la popolazione, creando canali di vendita per la produzione locale e promuovendo spazi di stimolo sociale e culturale.
A tale scopo vengono organizzate attività come pranzi, concerti, corsi, mostre, conferenze, ecc.
Il museo dell’opificio è complementato da uno spazio espositivo al primo piano, una buvette con prodotti locali a prezzi calmierati e un piccolo spaccio d’artigianato del luogo.

Benvenute e benvenuti!